Arcelli per Sport Nutrition Report 2011: anemia dell’atleta; versione ottobre 2010 Stampa
Scritto da ENRICO ARCELLI   
Lunedì 14 Febbraio 2011 19:39

Arcelli per Sport Nutrition Report 2011: anemia dell’atleta; versione ottobre 2010

L’anemia dell’atleta colpisce soprattutto gli atleti che si allenano di frequente e molto intensamente, a partire da coloro che praticano sport di fondo, come i maratoneti, i triatleti, gli sciatori di fondo, i ciclisti e i marciatori; ma ne sono spesso interessati anche atleti che praticano altri sport individuali o di squadra. Le atlete ne sono colpite più frequentemente degli atleti di sesso maschile.In questo articolo si parlerà delle cause più probabili di tale disturbo e delle cure più efficaci, anche alla luce di scoperte piuttosto recenti (quelle relative all’epcidina) che hanno permesso di vedere l’anemia dell’atleta sotto una nuova luce e, soprattutto, di aiutare a guarirla con maggior facilità.

L’ANEMIA DELL’ATLETA E LA PSEUDOANEMIA.

L’emoglobina é la molecola che contiene ferro, che è racchiusa nei globuli rossi e che ha la funzione di trasportare l’ossigeno. Si parla di anemia quando nel sangue c’è poca emoglobina e/o quando ci sono pochi globuli rossi e/o quando l’ematocrito è basso. L’anemia dell’atleta è determinata dalla carenza di ferro e per questo è detta sideropenica.Nelle discipline nelle quali è utile che ai muscoli arrivi tanto ossigeno (quelle continue più tipicamente aerobiche o con una non trascurabile componente aerobica, ma anche quelle intermittenti – in particolare i giochi – in cui è utile un recupero rapido fra un momento di elevato impegno e il successivo), le prestazioni agonistiche risultano sensibilmente peggiorate nell’atleta che diventa anemico; ci sono spesso grossi problemi anche a compiere sedute di allenamento che fino a poco tempo prima erano compiute con facilità.Spesso viene sostenuto che i valori ideali di concentrazione di emoglobina nel sangue dovrebbero essere di almeno 14,5 g.dL–1 negli atleti di sesso maschile e di almeno 13,5 g.dL-1 nelle atlete; ci sono stati atleti che, però, hanno ottenuto risultati straordinari (compresa la medaglia d’oro olimpica nella maratona) con tassi di emoglobina ben più bassi di questi. Alcuni sostengono che la vera anemia si abbia sotto i 13 g.mL-1 o, nelle donne, sotto gli 11 g.L-1 di emoglobina. In realtà un atleta può essere considerato anemico anche se i suoi valori sono nell’ambito della perfetta normalità per la popolazione generale; il dubbio di una incipiente anemizzazione deve venire, invece, quando in un atleta i valori dell’ultimo esame del sangue sono sensibilmente inferiori a quelli dei valori che egli aveva negli esami di quando era in piena efficienza.

 

 

In casi non infrequenti, ad ogni modo, i bassi valori dell’emoglobina, dei globuli rossi e dell’ematocrito degli atleti sono dovuti alla pseudoanemia (o falsa anemia). Essa può essere la conseguenza dell’allenamento (per esempio dell’aumento improvviso dei carichi, oppure del lavoro compiuto in altitudine o in condizioni che determinano una sudorazione molto abbondante) e comporta la diluizione del sangue; in esso non è diminuita (talvolta, anzi, è aumentata) la quantità totale di emoglobina o di globuli rossi nel circolo sanguigno, ma si è sensibilmente accresciuto il volume della parte liquida; si è avuto, insomma, un incremento del volume del plasma di entità maggiore di quello dei globuli rossi.In questi casi la prestazione dell’atleta non è compromessa.Nell’anemia vera e propria – a causa della mancanza di disponibilità di ferro da parte del midollo osseo, l’organo che “fabbrica” i globuli rossi – si riducono, invece, la quantità totale di emoglobina nel sangue, la capacità di trasporto dell’ossigeno e la disponibilità di energia per ogni secondo da parte dei muscoli, le cui possibilità di lavoro diminuiscono anche per via del fatto che in alcune molecole molto importanti per l’utilizzo dell’ossigeno (la mioglobina, i citocromi e vari altri enzimi implicati nella produzione di energia con il meccanismo aerobico) è contenuto ferro e che, dunque, la loro produzione è diminuita quando c’è carenza di esso.Ogni volta che c’è un atleta anemico, ad ogni modo, é sempre molto importante escludere che esistano altre patologie che possono averla causata. Va tenuto presente che anche la celiachia (che ha una prevalenza di 1/150 nella popolazione italiana) può causare anemia.

LE CAUSE DELL’ANEMIA DELL’ATLETA.

Fino a qualche anno fa, si riteneva che l’unica causa dell’anemia dell’atleta fosse che il ferro perso era in quantità maggiore di quello assorbito e che il motivo principale di questo bilancio negativo consistesse unicamente nella bassa assunzione di ferro con gli alimenti, oppure nell’aumentata perdita di esso, soprattutto con le urine, con le feci, con il sudore e, nelle atlete, con le mestruazioni. Anche oggi – sebbene il ruolo dell’epcidina abbia cambiato un po’ il modo di vedere le cose – questi aspetti sono comunque importanti e, dunque, vale la pena di conoscerli.

LA BASSA ASSUNZIONE DI FERRO.

 Nei paesi occidentali l’individuo adulto assume abitualmente, attraverso gli alimenti, alcuni milligrammi di ferro. Va considerato, però, che soltanto una parte ridotta di questo ferro (spesso meno del 10%) viene di solito assorbita. Il ferro eme, quello delle carni (comprendendo in questo termine anche le frattaglie, i salumi e i prodotti della pesca freschi o conservati) è più facilmente assorbibile del ferro non-eme, quello degli alimenti di origine vegetale, presente nei legumi, nella frutta oleosa (noci, nocciole, mandorle, pinoli…), nel lievito di birra, nel prezzemolo, negli spinaci e così via.Molti degli atleti che tendono a diventare anemici hanno un consumo assai ridotto di alimenti contenenti ferro, talvolta per il fatto di avere eliminato del tutto dalla propria dieta gli alimenti di origine animale, senza aver introdotto in essa, al tempo stesso, quei correttivi che di solito consentono di non avere problemi di carenza di ferro agli atleti vegetariani con buone conoscenze di dietologia.

L’AUMENTO DELLE PERDITE DI FERRO.

 Tutti gli individui hanno giornalmente una perdita di ferro “fisiologica”, attraverso il sudore, la desquamazione della cute e dell’epitelio intestinale e così via. Alcuni ne hanno in misura maggiore, per esempio a causa di perdite di sangue attraverso il tubo digerente (gastriti, duodeniti, coliti, ulcere a varia localizzazione, disturbi emorroidari…), a causa di emorragie (magari di entità ogni volta ridotta, ma continue) e, nelle donne, di disturbi ginecologici. In chi abbia un’anemia sideropenia, il primo obiettivo dovrà proprio essere quello di escludere tali cause.Negli atleti che si allenano intensamente e di frequente, vi può essere un’aumentata perdita di ferro attraverso queste vie: le feci, le urine e il sudore.

LE PERDITE DI FERRO CON LE FECI.

Nelle feci del corridore è frequente trovare sangue, soprattutto dopo gli allenamenti più prolungati o dopo le gare sulle lunghe distanze (Stewart et al., 1984). Ciò può essere dovuto a varie cause, come la “caecal slap syndrome”, vale a dire lo “scuotimento” a livello del ceco causato dalla corsa (Porter, 1982), oppure nell’ischemia intestinale, ossia lo scarso apporto di ossigeno, soprattutto a livello del colon, con conseguente vasodilatazione e passaggio di globuli rossi nel lume intestinale (Heer et al., 1987). Talvolta le perdite di sangue sono dovute a lesioni della mucosa intestinale dello stomaco o dell’esofago o anche a vere e proprie ulcere (Choi et al., 2001); tali perdite di sangue sono talvolta accompagnate da disturbi gastrointestinali durante l’attività e sono spesso causate dall’uso di farmaci antinfiammatori per la cura dei disturbi ai tendini o alle articolazioni, frequenti negli atleti (Baska et al., 1990).

LE PERDITE DI FERRO CON LE URINE.

Il primo a parlare di “pseudonefrite dell’atleta” fu Gardner oltre 50 anni fa (Gardner, 1956); questo studioso constatò che, dopo la partita, l’urina dei giocatori di football americano poteva contenere proteine e globuli rossi, come se i soggetti fossero affetti da nefrite; l’urina, però, tornava normale dopo poche decine di ore di riposo. Proprio questo ritorno rapido alla normalità dell’urina ancora oggi è considerato un dato fondamentale per stabilire se esiste o no una forma nefritica o se si tratti di una situazione legata all’attività fisica. L’ematuria è causata da un’aumentata permeabilità glomerulare (a sua volta favorita dall’ischemia renale, più probabile se il clima caldo richiama molto sangue alla cute) ed é tanto più comune quanto maggiori sono la durata e l’intensità dell’attività fisica compiuta; un ruolo importante hanno sicuramente le catecolamine e l’aumentata produzione di radicali liberi (Bellingheri et al., 2008).Nell’urina del corridore si può trovare sangue, anche in quantità molto abbondante, da lesioni nella vescica causate dagli urti continui fra le pareti della vescica stessa (Blacklock, 1979). Nel ciclista, in particolare in chi fa mountain bike, l’ematuria può invece essere causata dai traumi al perineo (Albersen et al., 2006).Nell’urina, infine, può essere presente emoglobina quando vi è la rottura di un gran numero di globuli rossi all’interno dei vasi sanguigni; nel corridore questo succede soprattutto per l’impatto dei piedi con il terreno, nel tessuto schiacciato fra il suolo e le ossa del tallone e dell’avampiede (Telford et al., 2003). L’aptoglobina lega di solito l’emoglobina che si libera nel sangue e la trasporta alla milza, dove il ferro viene recuperato, ma se l’allenamento è protratto e se – eventualmente a causa dell’ossidazione delle membrane determinata dai radicali libri che si formano durante l’attività – i globuli rossi tendono più facilmente a rompersi, questa molecola si esaurisce e una certa quantità emoglobina non viene “catturata” e si ritrova nelle urine.

LE PERDITE DI FERRO CON IL SUDORE.

Il sudore di chi fa attività fisica contiene ferro in concentrazioni che tendono a diminuire con la durata dello sforzo e con il grado di allenamento alle condizioni che favoriscono la sudorazione (DeRuisseau, 2002; Chinevere, 2008). In chi si allena ogni giorno (o, a maggior ragione, due volte al giorno) con valori elevati di temperatura, di umidità e di irraggiamento e dunque produce alcuni litri di sudore quotidiani, in ogni caso, ci possono essere perdite di ferro di entità tutt’altro che trascurabile. Mentre in passato si riteneva che le atlete perdessero con il sudore una quantità di ferro molto maggiore degli atleti (Lamanca et al., 1988), oggi si tende a ritenere che non sia significativa la differenza fra i due sessi, in particolare nei corridori quando sia uguale la quantità dei chilometri percorsi (DeRuisseau, 2002).

 GLI EFFETTI DEL BILANCIO NEGATIVO DEL FERRO.

Quando il bilancio del ferro diventa negativo (perdite di ferro superiori all’assorbimento), c’è dapprima soltanto una diminuzione delle scorte totali di ferro nell’organismo, con il livello ematico della ferritina;  che scende sotto la norma; questa situazione è denominata anemia pre-latente e di solito l’atleta non avverte alcun sintomo. Si parla, invece, di anemia latente quando, invece, anche i valori della transferrina sono al di fuori della norma (in questo caso sono alti), mentre i valori di emoglobina, globuli rossi ed ematocrito sono ancora normali o quasi; l’atleta già si sente sensibilmente più stanco del solito. Nell’anemia manifesta tutti i valori sono alterati: sono bassi la ferritina, la sideremia, l’emoglobina, i globuli rossi e l’ematocrito; la transferrina è alta; il volume medio dei globuli rossi è ridotto. Oltre alla debolezza generale, l’atleta ha dolori muscolari e ha difficoltà a recuperare fra una seduta e la successiva e fra un impegno e l’altro nel corso dell’allenamento; l’intensità che riesce a tenere (nella corsa, nel ciclismo, nel nuoto, nella marcia…) è inferiore a quella consueta.

L’EPCIDINA E IL RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE.

Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro il ruolo che, nel determinare l’insorgenza dell’anemia dell’atleta, ha l’epcidina, un ormone che è fondamentale nella regolazione del ferro dell’organismo. L’epcidina, infatti, influenza notevolmente l’assorbimento del ferro contenuto negli alimenti: quanto maggiore è la sua concentrazione nel sangue, tanto più ridotto è il ferro che viene assorbito a livello del duodeno; per di più, regola (nel senso che i suoi alti livelli lo riducono sensibilmente) il rilascio del ferro contenuto nei depositi, specie quelli del fegato e della milza (Ganz, 2003; Leong e Lönnerdal, 2004; Robson, 2004). Come conseguenza di questo duplice effetto dell’epcidina (inibizione sia dell’assorbimento del ferro a livello intestinale, sia del suo rilascio dai depositi), succede che nel sangue è inferiore la concentrazione del ferro e il midollo osseo si trova così ad essere carente di una materia prima, qual è il ferro, assolutamente indispensabile per sintetizzare l’emoglobina.A causare l’incremento dei livelli dell’epcidina é l’aumento nell’organismo di sostanze pro-infiammatorie (Ganz e Nemeth, 2009), a partire da alcune citochine, in particolare dell’interleuchina-6 (o IL-6); tale aumento, a sua volta, é determinato dagli allenamenti intensi e frequenti (Ostrowski et al., 1998; Pedersen e Toft, 2000), anche se da tale punto di vista esistono differenze sensibili fra un soggetto e l’altro.

 LE REGOLE PER EVITARE L’ANEMIA DELL’ATLETA.

L’utilizzo dell’olio di pesce, grazie agli acidi grassi omega-3 a catena lunga in esso contenuti, in particolare EPA e DHA, permette sicuramente di ridurre lo stato infiammatorio dell’organismo. A livello delle membrane cellulari, questi acidi grassi si sostituiscono in parte all’acido arachidonico; questo favorisce la produzione di una quantità inferiore di citochine pro-infiammatorie (a partire dall’IL-6) e di una quantità superiore di prostaglandine della serie 1 con effetto antinfiammatorio (Bagga, 2003; Burns et al., 2007; Grimble, 1998). Quando si è anemici, in ogni caso, oltre all’olio di pesce vanno assunti integratori contenenti ferro, ma soltanto fino a quando sono tornati alla norma i valori ematici che indicano che il disturbo è ancora in corso.Chi in passato ha sofferto di anemia sideropenica, ad ogni modo, ha la tendenza ha ritornare anemico. E’ bene, dunque, che – oltre a continuare ad assumere olio di pesce – egli segua alcune regole (Arcelli et al., 1995):

 

  • Nei pasti principali inserisca sempre un fornitore di ferro eme, per esempio carni di vario tipo nel pranzo e nella cena (meglio le carni bianche di quelle rosse, molto ricche di acido arachidonico), e una fetta di prosciutto sgrassato o due fette di bresaola nella prima colazione; l’assorbimento del ferro è favorito dalla presenza di vitamina C e di altri acidi organici, mentre è ostacolato dai tannini, presenti nel the, nel caffè e nel vino; ai pasti, dunque, è preferibile che rinunci a tali bevande e preferisca l’acqua o il succo di arancia;
  • Utilizzi abitualmente una dieta antinfiammatoria, vale a dire povera di acido arachidonico (oltre a sostituire – come già detto - le carni rosse con quelle bianche, vanno ridotti al minimo i tuorli d’uovo). È anche bene consumare pochi oli di semi, ricchi di acidi grassi omega-6, e pochissimi alimenti (a partire da merendine, biscotti e altri prodotti confezionati che in etichetta indicano la presenza di “grassi vegetali”);
  • Faccia periodicamente gli esami del sangue, per esempio in inverno ogni 60 sedute di allenamento (ogni mese e mezzo, dunque, se fa 10 sedute settimanali e ogni tre mese se ne fa 5) e in estate ogni 40 sedute;
  • Faccia su un quaderno o sul computer una tabella che riassume sia i dati dei principali esami del sangue degli ultimi anni (numero dei globuli rossi, concentrazione dell’emoglobina, ematocrito, ferritina, transferrina, volume corpuscolare medio o MCV, emoglobina corpuscolare media o MCH), sia le sensazioni soggettive e le risultanze degli allenamenti e delle gare al momento dell’esame.

 BOX: L’EPDICINA

 L’epcidina è un peptide formato da 25 aminoacidi che, fra le altre funzioni, ha anche quella di essere un regolatore del ferro dell’organismo. I soggetti che, per una mutazione genetica non hanno tale ormone, accumulano ferro nell’organismo e vanno incontro all’emocromatosi. L’abbondanza di epcidina, determinata dall’infiammazione, invece, fa sì che sia ridotto l’assorbimento del ferro a livello dell’intestino tenue e che anche i macrofagi (che costituiscono i depositi del ferro) lo rilascino con difficoltà. Il nome di epcidina (hepcidin in inglese) venne coniato da Park et al. (2001), quando scoprirono nelle urine umane questo peptide prodotto dal fegato (da cui la parte iniziale del nome, hep-) che in vitro aveva la proprietà di uccidere i batteri (da cui il finale, -cidin). Solo alcuni anni dopo ci si rese conto del suo ruolo nel metabolismo del ferro.

 

 

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Ultimo aggiornamento Martedì 22 Novembre 2011 18:39