“24 ORE DEL SOLE” UN LEONE SUL PODIO Stampa
Scritto da pupette greco   
Lunedì 03 Dicembre 2012 21:44

Racconta la tua storia,  Palermo, 24-25 novembre 2012

24 ORE DEL SOLE”

UN LEONE SUL PODIO

di Pupetta Greco

“Cosa ti è successo?” “ Il medico mi ha consigliato di stare a riposo, ho uno stiramento al polpaccio.” “ Va bene, vorrà dire che andremo in Sicila da turisti. Correrai la tua prima 12 ore un’altra volta, quando te la sentirai.”

Questo dialogo, tra me e Paolo, risale a dieci giorni prima della “24 ore del Sole” di Palermo. In quei dieci giorni tutta la concentrazione di mio marito si riversò nella cura della gamba infortunata, con medicamenti, fasciature e terapie varie.

Siamo partiti alla volta della Sicilia non con il solito entusiasmo che caratterizza Paolo e che inevitabilmente contagia chi gli sta accanto. La preoccupazione occupava i nostri pensieri, ma evitavamo di parlarne, nell’ingenuo tentativo di esorcizzarla.

Siamo arrivati nella terra delle palme e del sole, accolti da un panorama stupendo, dai colori e dai profumi seducenti, difficile da ignorare. Come bambini rubavamo con gli occhi tutto ciò che ci passava davanti. Un mare azzurro come quelli che si vedono nelle immagini delle agenzie di viaggi e maliziosamente si tende a pensare che sia un colore innaturale, ritoccato da Photoshop. Invece quel mare, lì davanti a noi era veramente di un azzurro “irreale”!

 

 

La prima tappa, appena giunti a Palermo, è stata quella di andare allo stadio “delle palme.” Da poco era iniziata la partenza dei podisti per la “24 ore”. Ci passavano davanti volti amici: Angela, Gianfranco, Antonio, Michele, Giovanbattista, Luisa e tanti altri. La loro presenza su quella pista, la testimonianza della loro forza fisica era trascinante, ma il pensiero che avrebbero continuato a correre per altre 23 ore, mi mise un senso d’angoscia addosso. Come si fa, mi chiedevo, a correre per tutto quel tempo? E Paolo, come avrebbe affrontato la sua prima volta? Perché ormai aveva deciso che l’avrebbe corsa quella lunga distanza, nonostante non fosse in gran forma come le altre volte. Finché le sue gambe glielo avrebbero permesso, lui avrebbe portato avanti la sua scelta di misurarsi con questa nuova prova.

Il pensiero dei maratoneti sul selciato mi accompagnò per tutto il giorno. Mentre noi ce ne stavamo in giro, a mangiare, a guardare vetrine, loro continuavano a stare lì a correre. No, non riuscivo a togliermi dalla testa quella processione di atleti sulla pista ai piedi del monte Pellegrino che come un gigante buono ammirava tanta tenacia.

Nel pomeriggio abbiamo provato a riposare, in vista della notte che ci attendeva. Ma la tensione non ci ha fatto riposare come desideravamo. La mezzanotte si avvicinava e l’appuntamento con la pista era oramai inevitabile. Nessuno di noi due comunicava all’altro i propri timori, evitavamo di toccare qualsiasi argomento riguardante la gamba o lo stato d’animo. Entrando nello stadio, abbiamo subito notato come i podisti, che ci passavano davanti, si potevano scambiare per figure oniriche, in un ambiente, che le luci e le ombre della notte rendeva irreale. In silenzio, col timore quasi di rompere un incantesimo, ci siamo avvicinati alla postazione di partenza.

Sembrava che non ci fosse nessuno all’infuori di noi e dei giudici di gara. Ma alle 24,00, puntuali si materializzarono sulla linea di partenza gli altri maratoneti della “12 ore.”

Lo scatto di una foto di gruppo, per immortalare il momento, aiutò a sciogliere un po' la tensione. Non feci nessuna raccomandazione a Paolo, come solitamente faccio prima di una gara. Lo guardai e gli dissi soltanto che stavo lì, in caso avesse avuto bisogno di qualcosa. Non doveva temere nessun giudizio, non doveva dimostrare niente, che già non sapesse, sarebbe andata come doveva andare, con l’aiuto dei suoi angeli protettori e del suo buon senso.

Dal momento dello sparo d’inizio è stato come varcare una soglia per entrare in un’altra dimensione: surreale! 45, tra uomini e donne, avevano deciso di continuare a correre per tutta la notte mentre il resto della città dormiva. A testimoniare che lì dentro si stava svolgendo una competizione particolare, ci stavano dei potenti fari che illuminavano a giorno lo stadio, investendo ognuna di quelle figure, di una luce irreale. Uno stereo diffondeva musica di ogni genere per combattere la monotonia della gara e il sonno. Un gallo, chissà da dove, cominciò a cantare molto prima dell’alba, forse ingannato dal chiarore e dai suoni.

Le ore notturne scivolavano lentamente e con esse calava tanta brina e umidità. Mi ritrovai col giaccone pregno di goccioline. Quell’umidità entrava ovunque. Chi correva cercava di ripararsi come meglio poteva. Un gazebo a bordo pista era il rifugio per cambiarsi e rifocillarsi in caso di bisogno.

Il sonno che temevo sopraggiungesse improvviso, non lo avvertii minimamente. Che fossi divenuta anch’io un’ aliena? Ogni tanto per scaldare le gambe intorpidite, camminavo intorno alla pista scattando delle foto a quei corpi completamente calati nel loro bozzolo fatto di determinazione e di forza di volontà, decisi a portare a termine la loro fatica. Paolo fra loro, ma con meno esperienza, lo vedevo sereno e determinato. Se la gamba gli stava dando dei problemi, li ignorava o non li dava a vedere. Chiederglielo sarebbe stato un tabù.

Le prime luci dell’aurora, mi regalarono un’emozione immensa, come sempre avviene quando si assiste alla nascita di un nuovo giorno. La montagna lentamente cominciava a delineare il suo imponente profilo. Nel meraviglioso chiarore, si stagliavano le sagome di coloro che si apprestavano a concludere nelle ore successive quella gara di resistenza, fuori ogni logica. Col passo sempre più pesante e affaticato, i podisti continuavano a sfilare in piccoli gruppi. Anche una parola di incoraggiamento pronunciata da uno di loro, era come un unguento per quelle membra stanche.

Il sole generoso, in poche ore regalò una mattinata calda e luminosa come un giorno di settembre. Alla brina si sostituì il sudore su coloro che imperterriti continuavano la loro gara. Intanto nello stadio cominciava ad arrivare altra gente. Per lo più amici, parenti o semplici spettatori, curiosi di vedere chi erano coloro che avevano deciso di cimentarsi in una gara così assurda. Forse si sorpresero di vedere che era gente qualunque con l’unica eccezione di avere tanta forza di spirito, determinazione e resistenza fisica supportata dalla volontà di misurarsi con se stessi.

Alle 10.00 uno sparo annunciò la fine della “24 ore”. In giro per la pista, come aquiloni senza la forza del vento, uomini e donne si lasciarono andare a terra, seduti o sdraiati accanto la propria bandierina che attestava la loro posizione.

Mancavano altre due ore perché Paolo concludesse la sua “scommessa”. In quel tempo sembrava che le lancette andassero più lentamente, finalmente un altro sparo diede lo stop alle “12 ore”. Paolo si trovava a 24 metri dal concludere i suoi 213 giri di pista, per un totale di 85.176,75 metri percorsi. Praticamente l'equivalente di poco più di due maratone. Gli andai incontro per accogliere le sue lacrime miste al sudore, ce l’aveva fatta, aveva vinto la sua scommessa più ardua portando a termine una gara tanto attesa, iniziata con i più funesti auspici. Nei pressi del traguardo intanto ci stavano gli organizzatori a premiare gli arrivi e le categorie della “24 ore”. Il primo posto se lo aveva aggiudicato il bergamasco Tiziano Marchesi con 246. 190,10 metri. Il secondo posto se lo era guadagnato Stefano Montagner, della stessa podistica di Marchesi, con 227.315,30 metri. Terza arrivò la tenace pugliese Luisa Zecchino con 203.319,60 metri. Ora toccava premiare quelli delle “12 ore”, lo speaker chiamò e annunciò il terzo classificato: Paolo Panunzi dell’LBM sport Roma a prendersi medaglia e coppa con gli applausi dei presenti e i complimenti degli amici. Ancora incredulo dell’obiettivo raggiunto, l'uomo che nella corsa come un leone aveva divorato chilometri su chilometri, salì sul podio a innalzare il suo trofeo, simbolo della fatica che era costata quella lunga corsa. Poco dopo lo raggiunsero il secondo e primo classificato: due podisti siciliani. Salvatore Crudo,

con 88.278,65 metri e Salvatore Piccione con 99.899,50 metri. Bravi anche loro per aver creduto fino alla fine nelle loro capacità.

Io, emozionata più che stanca, mi gustavo ogni momento, con la consapevolezza che quella giornata sarebbe stata ricordata come una delle pagine più belle della nostra esperienza nel “mondo podistico”. Certa di continuare a dare il mio sostegno incondizionato all’uomo che ho accanto da oltre trenta anni. La mia presenza continuerà ad essere per lui un’ulteriore attestazione d’amore e di orgoglio.

In un’altra occasione scrissi che i sogni hanno gambe lunghe che portano lontano. Ecco qui ho descritto un’impresa che per molti è solo una follia. Per Paolo invece è stato il coronamento di un sogno tenuto in fondo ad un cassetto. Quando per molto tempo le gambe sono state solo un accessorio che hanno trascinano un corpo e si sono trovate, quasi per miracolo, ad essere un mezzo che hanno fatto provare la libertà delle aquile, allora non si vorrebbe fermarle più. Anche la fatica diviene uno scotto da pagare, se alla fine della strada ci si sente morto ma vivo più che mai. Ecco che allora la follia trova un senso in chi dedica alla corsa buona parte del proprio tempo.

Ultimo aggiornamento Lunedì 03 Dicembre 2012 21:46